UN MITO ANTROPOLOGICO TELEVISIVO
Alessandro Gagliardo
A cura di Luigi Fassi
Alessandro Gagliardo è autore di una ricerca incentrata sull’impatto della documentazione televisivo-giornalistica nella costruzione di una lettura mitografica della storia siciliana contemporanea. Intitolata Un mito antropologico televisivo, tale ricerca è incentrata sugli anni decisivi intercorsi tra il 1991 e il 1994, caratterizzati da una molteplicità di eventi destinati a ridisegnare la storia siciliana e quella italiana. Dalle stragi di mafia in tutto il territorio regionale, culminate in quelle palermitane di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, sino all’esplosione della crisi dell’edilizia abitativa, segnata da un abusivismo irrisolto da decenni, la prima metà degli anni Novanta è il palcoscenico di una conflittualità crescente tra stato e cittadini e di un riassetto politico generale del Paese i cui effetti continuano ancora nel presente.
Il progetto di Gagliardo è articolato in diversi capitoli volti a istruire una narrazione complessa di questi eventi a partire dalla microstoria quotidiana della provincia di Catania e dei suoi paesi, così come documentata dai materiali di repertorio delle produzioni giornalistiche delle emittenti televisive locali di quel periodo.
Mitografia (2011) è un oggetto visivo costituito da un insieme di oltre centoventimila fotogrammi di fisionomie e umori di massa. Successione rallentata di documentazioni ad uso televisivo filmate nel corso di manifestazioni pubbliche di protesta nel catanese nei primi anni novanta, Mitografia attiva una riflessione sulla trasfigurazione antropologica della società così come resa manifesta dalle forme documentarie del medium catodico.
Gagliardo introduce in Mitografia una sensibilità culturale che ritorna anche nelle due opere video di Città Stato (2011), segnalando la prossimità del suo lavoro ad una tradizione intellettuale che dagli anni Quaranta in poi aveva denunziato la crisi del Mezzogiorno italiano e al tempo stesso la potenzialità di quel territorio come risorsa sociale e politica per contrastare il degrado introdotto dal neocapitalismo italiano. Dai viaggi e dai libri di Carlo Levi nel meridione, dall’azione politica e letteraria di Antonio Gramsci, Rocco Scotellaro e Danilo Dolci, sino alle denunce di Pier Paolo Pasolini sul genocidio del mondo contadino italiano, la ricerca di Gagliardo sembra rinnovare tale tradizione focalizzando un’interpretazione di natura antropologica del mondo sociale siciliano dei primi anni novanta. La recrudescenza delle stragi di mafia di quel periodo è scandagliata da Gagliardo attraverso una lettura minuziosa del mondo catanese, dove a omicidi e brutalità si accompagna il disagio civile generato dall’abusivismo di massa e dall’impossibilità di trovare una mediazione tra cittadini e autorità. I suoi lavori non sono costruiti partire dai servizi giornalistici montati e rifiniti, ma dalla congerie magmatica e ruvida dei nastri di repertorio – le ore di girato accumulate dagli operatori delle televisioni locali alla scoperta del territorio catanese – prima di ogni montaggio e confezionamento per la messa in onda.
La stessa logica è all’opera in Dei poteri e delle povertà (2011), un’installazione composta da decine di singoli fotogrammi stampati su carta e selezionati dai medesimi materiali dei master SVHS realizzati dalle televisioni locali catanesi. Come suggerisce il titolo, l’opera è una drammaturgia visiva inscritta tra contrasti, abusi e indigenze. Il flusso della quotidianità nelle strade di città come Biancavilla, Adrano, Misterbianco, Santa Maria di Licodia e Paternò, si dipana tra scene di omicidi di mafia, memoriali funebri, ma anche paesaggi urbani, campagne e periferie. La presenza ricorsiva dei microfoni in primo piano è elemento decisivo per una metamorfosi iconografica delle scene, che evidenziano l’avvenuta mediazione tra telecamere e realtà, esperienza quotidiana e narrazione giornalistica.